...ULTIMA PARTE..
Quali difficoltà ha trovato all’inizio della sua professione?
Nella realtà abruzzese, in particolare, le difficoltà sono state di due ordini: professionale e lavorativo. Nel primo ambito è stato difficile proporre, più di 20 anni fa, una psicoterapia che mirava non alla soluzione dei problemi ma a guardare il problema a 360°. Per quanto compete il secondo aspetto vi era carenza della richiesta di psicologi clinici soprattutto nell’area delle istituzioni, mentre, al contrario, nel privato sociale si affacciava e lentamente si imponeva il ruolo dello psicologo sociale e di comunità, settore esperienziale nel quale ho iniziato a lavorare.
Secondo lei, quali sono i problemi attuali per la professione dello psicologo?
Il problema principale resta quello di entrare nel mondo del lavoro sia a causa dell’elevato numero di laureati che la nostra Università (di Chieti) sforna annualmente e sia per l’attuale carenza di proposte istituzionali di inserimento della figura dello psicologo in realtà eterogenee di lavoro tuttora molto penalizzare. Infine, l’attuale ordinamento universitario non permette una effettiva formazione meglio mirata ai bisogni attuali del mercato del lavoro.
Come è cambiata la Psicologia negli ultimi anni?
Per quanto compete la mia esperienza il cambiamento più eclatante mi sembra quello relativo all’eccessiva medicalizzazione del percorso formativo e forse una eccessiva generalizzazione del “fare psicologia”, per chiunque si avvicini al possesso dei requisiti minimi della professione senza aver effettuato in realtà un adeguato training.
Come sono, invece, cambiati gli psicologi?
Da quando sono sorte le prime facoltà in Italia continua a perpetuarsi , tra gli psicologi, un vissuto di “monadismo” ovvero di chiusura ed estrema difficoltà nel comunicarsi il senso di appartenenza professionale e, logicamente, la mancata strutturazione dell’essere una categoria professionale in grado di rappresentare se stessa rispetto ai bisogni della società. Non sono, comunque, da sottovalutare gli sforzi fatti dall’Ordine Nazionale per conferire dignità e riconoscimento alla nostra professione.
Dalla sua esperienza, ci può dire qualcosa in merito all’evoluzione della domanda di psicologia?
Dal mio osservatorio lavorativo posso evidenziare un effettivo cambiamento della richiesta di aiuto, sintomo di una consapevolezza diversa circa gli interventi psicologici.
Infatti, negli ultimi anni si sta assistendo ad una lenta ma progressiva trasformazione dell’utenza, che, al di là delle patologie prettamente psichiatriche permette agli individui di chiedere prestazioni di psicoterapia come bisogno esistenziale ed evolutivo di cambiamento, attraverso un grado di nuova consapevolezza del concetto di Salute Mentale.
Come vede il rapporto tra gli psicologi e gli psichiatri?
È un rapporto ancora molto sofferente, e soggetto a doverose trasformazioni in positivo.
Esiste di fatto una frattura significativa tra le due professionalità che vede nell’espletamento della psicoterapia una delle aree di maggiore conflittualità. Questa diatriba, ancora difficile da definire, se dovesse essere superata potrebbe invece, al contrario, facilitare la nascita di nuove sinergie professionali.
La ringrazio per la sua disponibilità, prima di lasciarla vorrei chiederle un’ultima cosa: rifarebbe la psicologia?Vuole dare ai lettori qualche consiglio?
Chiaramente rifarei la psicologa, non perché sia una missione ma perché è un lavoro che negli anni di esperienza ha confermato le attitudini professionali e la mia crescita personale.
Ai lettori, quello che mi sento di consigliare, è di seguire questo percorso sapendo che è difficile e complesso ma se perseguito nel tempo non serve solo ai pazienti ma all’evoluzione del proprio progetto di vita.
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